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Sturzo e l'idea di Europa (Introduzione di Patrizia Toia)

Il 28 gennaio 2020 – rimarcare la data è essenziale – si è svolto nella sede di Bruxelles del Parlamento europeo il convegno dal titolo “Sturzo e l’idea di Europa”, a conclusione del centenario dell’appello “Ai liberi e forti”. L’intenzione che mi aveva mosso per questa iniziativa era di soffermarsi sul pensiero del fondatore del Partito Popolare Italiano, figura politica di levatura internazionale, alla ricerca di temi e motivi utili al dibattito politico contemporaneo, considerate anche le molteplici crisi attraversate dall’Unione europea negli anni recenti (economico-finanziaria, politico-istituzionale, migratoria, demografica…). Nessuno poteva immaginare, al momento di imbastire il programma del convegno, e poi di svolgerlo, che dietro l’angolo ci attendeva un’altra sfida, altrettanto grave, dolorosa per tanti aspetti, generata questa volta da un virus. Ebbene, la pandemia Covid-19 aveva un po’ offuscato le ricadute del convegno sul dibattito politico in corso. Eppure, riprendendo i testi delle splendide relazioni e delle efficaci testimonianze risuonate in quella occasione, ci si è accorti come esse meritassero più ampia divulgazione, proprio in relazione ai nuovi tempi e agli ostacoli sopraggiunti cui far fronte.

Così, anche con l’aiuto del giornalista e storico Gianni Borsa, abbiamo ripreso i testi del convegno, che qui presentiamo dopo essere stati sbobinati e rivisti per la pubblicazione. Si tratta, a mio avviso, di tornare al sorgivo e lungimirante pensiero di don Luigi Sturzo, considerando l’attualità e, se così possiamo dire, l’utilità di taluni suoi decisivi spunti in questa straordinaria – nel male e nel bene – stagione italiana, europea e mondiale

Nel male, perché l’Europa è stata scossa da una fortissima pandemia che ha mietuto vittime umane e ha “piegato” l’economia del Continente. Nel bene, perché di fronte a questa crisi, la più forte e terribile, forse, dalla nascita dell’Europa stessa, si è reagito prima con alcuni provvedimenti di emergenza, poi con risposte assolutamente inedite, infrangendo certi tabù (come l’idea di un debito comune) e affermando uno spirito di solidarietà tra gli Stati membri, frutto sia di scelte ideali che di realistica valutazione che la sorte di un Paese ha effetti su tutti. Ci lega dunque un “destino comune” dove – è stato affermato da più voci – non ci si salva da soli, ma ci si salva insieme.

Infatti le risposte economiche alla crisi determinano anche il futuro dell’istituzione europea; la sua “salvezza economica” si intreccia con il completamento del “progetto incompiuto”, portandolo a una indispensabile maggiore unità e integrazione.

Le grandi crisi, come è noto, sono un elemento di accelerazione dei processi. La storia prima della Comunità economica europea e ora dell’Unione europea, ne è costellata.

La terribile crisi del coronavirus, dagli effetti pesanti oggi e nell’immediato futuro (si pensi al lavoro, alla scuola, ai sistemi sanitari, al debito pubblico degli Stati…) poteva portare l’Europa sull’orlo di una frantumazione irreversibile. Aver compreso che la crisi non era solo italiana o spagnola o di altri singoli Stati, ma di tutti, anche se con effetti diversi nei vari Paesi, è stato un segno di lungimiranza e di investimento sul futuro. Si è capito che era in gioco, oltre a tutto il resto, il destino stesso dell’Europa.

Col passare dei mesi si è consolidata la decisione di affrontarla con un impegno e un intervento comuni e si è stabilito di intraprendere la strada di una emissione di titoli a debito comune (il Recovery Fund). Passaggi storici, qualcuno dice come il «whatever it takes» di Draghi nel 2012.

Per una volta possiamo riconoscere che l’Europa non è stata assente o ristretta o egoista. Non possiamo dire, come spesso in passato, troppo poco e troppo tardi, «too little, too late». L’Europa c’è stata con coraggio e con visione: coraggio per le scelte, visione per la volontà di “ricostruzione” non come “era prima”, ma per un sistema più resiliente, basato sulla sostenibilità climatica e ambientale e sulla digitalizzazione.

In questo arduo passaggio, non c’è dubbio che gli sconfitti sono i sovranisti, mentre i vincitori, sia pure con qualche compromesso, sono gli europeisti.

Ma ora tocca a noi fare molto seriamente la nostra parte italiana perché c’è stata fiducia, c’è stata attenzione e considerazione per il nostro Paese. Dobbiamo fare bene e in fretta, dobbiamo dimostrare chi siamo, al meglio delle nostre capacità, inventive e realizzative, e non al peggio dei nostri ritardi o improvvisazioni. Occorreranno progetti di alto livello nei quali investire i fondi di provenienza europea; e sarà ugualmente importante mobilitare il sistema-Paese per uscire dall’emergenza sanitaria e avviare un rinnovato processo di ammodernamento della nostra nazione in ambito economico, infrastrutturale, sociale, formativo, culturale.

Non dobbiamo temere il rispetto di regole o condizioni. È del tutto normale che chi usa “denaro comune” (noi usiamo “denaro comune” europeo, non denaro tedesco o olandese…) debba rendere conto agli altri. Vale per noi, come vale per ogni Paese. Vorrei dire sottovoce che vale ancora di più per noi, perché prendiamo quasi un quarto delle risorse a sussidio e quasi un terzo di quelle a prestito definite per superare questa difficile fase. Senza inutili orgogli, ma col giusto orgoglio di fare bene, noi dobbiamo preparare il nostro Piano nazionale per la ripresa e la resilienza per poi portarlo a compimento. Ne va del futuro degli italiani!

Ecco dunque che possiamo, pure in un difficile panorama italiano ed europeo, confidare nelle giuste scelte che abbiamo compiuto e attuarle concretamente a vantaggio dei cittadini, delle imprese e dei territori.

Sullo sfondo si staglia inoltre la delicata stagione delle scelte sul futuro dell’Unione europea: abbiamo anticipato nei fatti alcuni passaggi che ora richiedono riforme, dai trattati da cambiare alle procedure da abolire (come l’unanimità in Consiglio). La Conferenza sul futuro dell’Europa dovrà concentrarsi su questo orizzonte.

Sergio Fabbrini su Il Sole 24 Ore di domenica 26 luglio 2020 ha osservato: «L’europeismo ha vinto perché ha dimostrato che l’interdipendenza può essere utilizzata per rispondere a sfide esistenziali come la pandemia, tuttavia la sua vittoria è ancora incerta per l’insistenza di alcuni governi nazionali a vincolarne il carattere sovranazionale. L’Ue dovrà dipendere dai governi nazionali o potrà addomesticare questi ultimi all’interno di una governance sovranazionale? Ecco la domanda che la prossima Conferenza sul futuro dell’Europa dovrebbe porsi». Insomma, il cantiere Europa, che in questi mesi ha dimostrato attività e fervore, va completato al più presto.

Lo stesso don Luigi Sturzo parlava di “Stati Uniti d’Europa” in chiave di costruzione della pace e di cooperazione stretta tra i Paesi del Continente. Certo, i tempi erano differenti, il quadro internazionale assolutamente diverso dall’oggi. Eppure in quella “visione” sturziana si collocano alcuni presupposti per il nostro cammino europeo, presente e futuro. Sturzo, a suo modo, ci guida ancora oggi.

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