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Schede informative

Riprendiamo la rubrica di schede informative sulle attività dell'Unione europea, che sono state molto apprezzate, con riferimenti giuridici ma anche con riferimenti legati al dibattito politico e culturale, relative a temi di grande rilevanza sociale su cui l’Europa sta adottando scelte e scrivendo norme che delineeranno un orizzonte di scelte di standard che l‘ Europa auspica possano diventare di riferimento globale. Se volete ulteriori approfondimenti scrivetemi a: 

La riforma del patto di stabilità e crescita

Durante la pandemia l’Unione europea ha dovuto forzatamente, ma ha anche scelto consapevolmente di farlo, di sospendere alcuni “pilastri” del diritto e della governance economica europea.

In particolare: è stato sospeso il Patto di stabilità con i suoi parametri su debito e deficit e anche la disciplina degli “Aiuti di Stato” è stata prima rivista, poi aggiornata con un apposito nuovo framework.

Budget e concorrenza sono stati sempre degli elementi intoccabili nel quadro economico giuridico europeo e per alcuni “falchi” che non hanno mai voluto mettere in discussione il quadro determinato dalla disciplina di bilancio e dalle regole del mercato libero e competitivo.

Addirittura questi punti fermi sono diventati, per alcuni rigoristi,  un vero e proprio tabù, una specie di “religione laica” dell’istituzione europea sotto il profilo fiscale.

Il gruppo SD e il fronte progressista hanno sempre osteggiato questa visione o addirittura filosofia, denunciando i limiti e qualche volta i “danni” della politica del rigore e della puntuta e sterile disciplina dei numeri.

Ricordiamoci che qualche politico importante e molto intelligente ha definito “stupidi” questi parametri, cioè asettici, senza prospettive né fondamento.

Naturalmente il rispetto dei vincoli di bilancio, l’obbligo del pareggio dello stesso e comunque la buona tenuta dei conti, sono tutti elementi positivi per una “sana finanza pubblica”, ma non possono essere il fine ultimo, fine a se stesso.

Ogni politica fiscale presuppone una “politica”, cioè una visione, una finalità e una responsabilità ben individuate.

Possiamo perciò dire che l’intervento pubblico a seguito del covid è diventato più ampio come destinazione, più forte come entità e più consapevole come soggetto economico.

In sostanza: più debiti, per fare più investimenti e anche più “recovery” e aiuti anche contingenti nella immediatezza del disastro pandemico e nelle ripetute ricadute.

Dobbiamo anche riconoscere che  più debiti e più deficit, anche per gli interventi a breve, hanno messo molto in crisi e, non solo in modo contingente, la filosofia dell’austerità, individuandone intrinseca fragilità perché non ha risolto né “curato” le debolezze economiche dei paesi più esposti.

Ecco nuovi punti per una rinnovata prospettiva di governance: 

  1. L’intervento pubblico per dare slancio agli investimenti è ancora necessario  e lo sarà a lungo, quindi non si vuole più un intervento “una tantum”, ma un “permanente meccanismo” a livello comunitario, nazionale e locale per sostenere e spingere la crescita
  2. La strategia espansiva deve continuare e si richiede che sia fatta su un impianto rinnovato, cioè su una base originale e adeguata, anche per il rientro del debito che andrà programmato in modo tale da non compromettere la crescita
  3. Questa manovra non può essere solo a livello nazionale, ma richiede un collegamento e un incrocio tra politiche fiscali nazionali e politica fiscale europea e tutto ciò implica anche una nuova governance economica
  4. Le politiche nazionali devono essere coordinate tra loro per controllare le cosiddette “esternalità negative” e per evitare contraccolpi tra i diversi paesi per effetto delle diverse politiche fiscali di questo o di quell’altro Stato membro. Insomma, le interdipendenze, ormai molto strette, richiedono molto lavoro di collegamento. Nella pandemia si è acutizzato un problema, già presente, legato alla necessità di favorire la convergenza tra le realtà economiche e di bilancio dei diversi paesi, oggi troppo diverse tra loro.

Per tutte queste ragioni, e per altre che potrebbero essere illustrate, è evidente che la sospensione del Patto di Stabilità prevista fino a tutto il 2022 non può preludere ad un ripristino del vecchio patto, cioè a un ritorno al passato come “as usual”.

Questa è una convinzione profonda e molto diffusa.

Le regole del Patto, che hanno portato un certo ordine nei bilanci degli Stati, hanno però impedito, frenato ed ostacolato la crescita, irrigidendo le economie e hanno portato alcuni paesi sull’orlo del collasso finanziario, perché alle responsabilità dei singoli Stati sul versante della spesa non hanno saputo rispondere in modo da contenere le uscite e nello stesso tempo da permettere a questi paesi di rialzarsi.

Le politiche miopi dell’austerità e del rigore hanno colpito con durezza, per via delle loro regole rigide e “sciocche” (cioè senza capacità di interrogarsi sui risultati e sulle finalità) e hanno peggiorato la situazione, come si è visto nel caso della Grecia, emblematico per la miopia dell’Europa e delle organizzazioni finanziarie internazionali.

Se tutti concordano sul fatto che il Patto non può essere reintrodotto così com’era, non tutti però concordano su come deve cambiare.

Si va da paesi che auspicano piccoli aggiustamenti cosmetici ad altri che “sognano” o auspicano uno “spirito hamiltoniano” e chiedono che gli strumenti eccezionali varati durante la crisi (come Next Generation EU e le emissioni di titoli con un debito garantito dall’UE) siano resi permanenti.

Altri ancora auspicano una differenziazione di strumenti e obblighi, diversamente calibrati tra la Commissione e gli Stati membri, sulla scorta di quanto diceva un grande europeista, Tommaso Padoa Schioppa, “all’Europa lo sviluppo, agli Stati il rigore”.

In questo grande dibattito, cui partecipano anche eminenti personalità di Governo come Macron e più recentemente Scholz, si inserisce il lavoro importante del Commissario Paolo Gentiloni, cui è demandato il compito di presentare una proposta di revisione.

Lo “state of play” è questo:

  • nel febbraio 2020 è uscita una Comunicazione della Commissione europea sul riesame della governance economica della UE, che conteneva molti punti di valutazione sugli aspetti positivi, ma anche sulle lacune del quadro europeo.

A seguito della pandemia quel dibattito e quell’esame sono stati sospesi e solo ora si riprende perché la sospensione del Patto è legata al 2022:

  • a ottobre 2021 la Commissione presenta una nuova Comunicazione che riprende il dibattito pubblico sul tema della Revisione della governance economica, aggiornando i suoi elementi alla esperienza del Covid e agli insegnamenti che ne dobbiamo ricavare.

Alcuni punti evidenziati nella nuova Comunicazione:

  • l’ economia europea è stata colpita (PIL, occupazione, scambi) fortemente per effetto della crisi e si è ridotta in tutti gli indicatori.

Solo ora, a fine 2021, sta riprendendosi e in alcuni paesi (non tutti) gli indicatori raggiungono i livelli pre crisi, grazie agli interventi massicci dell’UE.

Anche il rapporto debito-PIL è fortemente peggiorato e così il livello dei disavanzi correnti. Si sono bloccate le politiche di riduzione del debito e di rientro dai deficit negli Stati membri.
Unanime giudizio è che siano stati gli interventi UE a sostenere la situazione e a limitare i colpi. Ora l’UE deve affrontare insieme i due aspetti: 
  • Continuare a sostenere investimenti e crescita per imprese , cittadini, famiglie
  • Nello stesso tempo affrontare gli squilibri di bilancio che questi periodo di forte indebitamento hanno prodotto

L’intervento europeo è stato fondamentale: sostenere l’economia e l’occupazione dal ricorso alla clausola di salvaguardi all’intervento di Sure, da Next Generation Eu col dispositivo di ripresa e resilienza, alla modifica della disciplina degli aiuti di Stato.

La nuova Comunicazione della Commissione, oltre a rappresentare la nuova situazione economico-fiscale degli Stati membri riprende le debolezze della “tradizionale” governance già presenti prima del Coronavirus e oggi drammaticamente evidenti e tali da imporre cambiamenti.

Quali le nuove sfide per la governance europea? 

  • Affrontare il debito enorme degli Stati in un’ottica “prudente” sia per l’entità del debito, sia per i tempi di rientro, sia, infine, per le modalità che non dovranno indebolire il sostegno alla crescita
  • Continuare nella crescita secondo gli assi definiti (sostenibilità, digitale e inclusione) con una scelta molto selettiva nei campi di investimento
  • Coordinare in maniera più sinergica le diverse politiche europee (no alle canne d’organo e ai silos) e, nello stesso tempo, raccordare più strettamente le politiche fiscali nazionali
  • Affrontare il tema delle divergenze, degli sviluppi dei vari paesi, che comporta un danno per tutta l’economia continentale, vista la forte interdipendenza.

Gli effetti delle divergenze incidono anche sulle diseguaglianze sociali e territoriali, che sono aumentate.

  • Definire e “sfruttare” le interazioni tra dimensione economica e dimensione di bilancio

Per aprire il dibattito in tutte le sedi istituzionali, accademiche e degli stakeholder interessati, la Commissione ha proposto 11 domande molto precise in modo che il dibattito sia ordinato e si sviluppi lungo traiettorie di proposte chiare.

Questo, insomma, è il quadro entro cui si muoverà la discussione e “fioriranno” le proposte.

Sarà importante che attorno a questi quesiti si apra un profondo dibattito perché si tratta di scelte che ricadranno nella vita delle istituzioni nazionali e locali, ma soprattutto nella vita dei cittadini, dai giovani agli adulti, dalle imprese alla realtà di tutti gli europei.

Lo sbocco è aperto: è una partita politica fondamentale per il futuro della UE, cioè di tutti.

Il quadro degli schieramenti politici e dei paesi è variegato e anche in questo caso possiamo dire “la partita è aperta: l’esito è da costruire”.

La linea guida dovrebbe essere quella di regole che permettano di rendere stabile e duratura, cioè sostenuta nel tempo e sostenibile nei contenuti, la ripresa che oggi c’è, affinché non sia un semplice “rimbalzo”.

Occorre dunque il giusto equilibrio, ma qual è il giusto equilibrio tra debito e investimenti? E tra rigore e sviluppo?

Così la riduzione dei debiti dovrà essere “realistica e compatibile con la crescita” e la selezione degli investimenti sarà necessaria per valorizzare quelli che sostengono la trasformazione verso la sostenibilità, la digitalizzazione e l’inclusione sociale.

Al riguardo è  importante ricordare tutta la elaborazione culturale e normativa sulla Tassonomia e la Finanza d’impatto sociale. I commissari Gentiloni e Dombrovskis hanno la responsabilità del dossier che coinvolge però l’intera Commissione, perché si tratta di una questione di fondo, con una grande valenza politica, di ordine generale, oltre che finanziaria.

Su questo fronte si decideranno anche le linee di sviluppo energetico: si pensi infatti al dibattito (oggi ancora aperto e sul quale forse a gennaio ci sarà un Atto delegato della Commissione) sull’opportunità o meno di inserire il nucleare e lo sviluppo di ulteriori grandi reti di distribuzione del gas negli investimenti finanziati con la tassonomia.

Un’altra questione importante che unisce la politica di bilancio agli investimenti green riguarda la possibilità di escludere dal calcolo dei parametri e quindi di “tenere fuori da deficit” gli investimenti green (la cosiddetta Golden Rule).

Il contesto politico istituzionale per la riforma del Patto 

Per le nuove regole europee sui conti pubblici ci sarà nel dibattito un confronto molto aspro, non solo tra i tradizionali schieramenti contrapposti dei “falchi” e delle “colombe”, ma anche a seconda delle posizioni assunte dai diversi paesi.

Evitare il calo degli investimenti privati e incoraggiare gli investimenti pubblici sono obiettivi condivisi, ma diverse sono le strade ritenute più utili per arrivarci.

 Spinoso e raro è i pronunciamento esplicito sulla revisione dei parametri, soprattutto di quello del debito (il famoso 60% nel rapporto debito-PIL).

Tutti sanno che non solo alcuni paesi dove il debito era già alto sono arrivati a percentuali molto significative, ma che anche in tutti i paesi europei è avvenuta una crescita del debito, tanto che oggi la media è del 100%.

Quindi un “aggiustamento” dei parametri sarà necessario e inevitabile, anche se corretta la preoccupazione di molti di non scaricare pesi troppo onerosi sui giovani, proprio a coloro cui il Next Generation è dedicato.

Dunque la Commissione sembrerebbe attestata su una proposta di modifica delle regole fiscali, ma non proporrebbe una modifica specifica del tetto del debito e di quello del deficit.

Molti esponenti politici di primo piano e molti esponenti istituzionali invece sono più espliciti.

Macron, che gestirà la presidenza del Consiglio europeo nel primo semestre del 2022, in cui la discussione avrà senz’altro uno sviluppo, ha esplicitamente dichiarato che bisogna “uscire dal tabù” e superare il “vecchio Patto di stabilità”, anzi lega questa riforma a un nuovo modello di crescita per l’Unione europea.

Nella conferenza di lancio della Presidenza francese dell’UE, Macron ha prospettato una Unione del “innovazione, della produzione e della creazione di posti di lavoro”.

Ha già annunciato per marzo un vertice in cui mettere a punto le priorità economiche e la conseguente riforma fiscale necessaria per sostenere quel disegno di crescita.

Macron dunque non avanza una proposta concreta sui parametri, ma vuole lavorare per regole di “serietà fiscale” e per una ambizione di una crescita più convergente tra paesi.

Per questo disegno sono possibili diverse opzioni: da un Bilancio europeo più sostanzioso grazie a maggior contributi degli Stati membri alla ricerca di nuovi finanziamenti sui mercati finanziari europei (come nel Next Generation EU),

Certamente mette davanti a tutti l’obiettivo di regole più flessibili e più orientate alla crescita e alla convergenza economica e mette in guardia da una rapida interruzione o brusca riduzione delle politiche espansive citando esempi del passato che hanno causato conseguenze dannose.

Dal versante tedesco vi sono interessanti novità.

Il nuovo Governo presieduto da Scholz, con l’ampia originale maggioranza che lo sostiene (socialdemocratici, verdi e liberali) nasce all’insegna di un rinnovato e forte impegno per l’avanzamento dell’integrazione europea e sceglie la strada della federazione come obiettivo.

In questa compagine di governo è da “tenere d’occhio” la posizione del Ministro delle Finanze, il liberale Linder, che in passato si è caratterizzato per posizioni di rigore ma che sembra oggi manifestare una apertura e una flessibilità maggiore.

La Germani prende come punti d partenza gli obiettivi del Patto: crescita, stabilità e sostenibilità e li ribadisce come centrali, sottolineando la capacità di flessibilità necessaria.

Si manifesta così la cultura economica tedesca saldamente ancorata a un rispetto ortodosso delle regole.

Sembra dunque essere più attenta alla “solidità delle finanza” e fiduciosa nella capacità di trovare nuove soluzioni anche all’interno delle regole del Patto.

Qualche commentatore, a proposito delle diverse posizioni di Germani e Francia, ha riesumato i concetti di “ordoliberismo” e di “repubblicanismo economico”, ma in ogni caso, pur senza incasellare le posizioni in dottrine forse superate, è vero che una distanza rimane.

Consola invece il fatto che in molti paesi cosiddetti frugali si stia aprendo una riflessione nuova e sembra si superi il rigido rifiuto al cambiamento. 

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