Skip to main content

Schede informative

Riprendiamo la rubrica di schede informative sulle attività dell'Unione europea, che sono state molto apprezzate, con riferimenti giuridici ma anche con riferimenti legati al dibattito politico e culturale, relative a temi di grande rilevanza sociale su cui l’Europa sta adottando scelte e scrivendo norme che delineeranno un orizzonte di scelte di standard che l‘ Europa auspica possano diventare di riferimento globale. Se volete ulteriori approfondimenti scrivetemi a: 

La riforma della Governance economica europea La revisione del Patto di Stabilità e Crescita (PSC)

Si discute molto nelle istituzioni europee e nazionali, nonché in molti ambienti economici e finanziari, della riforma del patto di stabilità e crescita che deve essere riformato entro questo anno 2024.

Infatti il Patto è stato sospeso (e quindi le sue regole, i suoi parametri e le sue prescrizioni) nel periodo del COVID per permettere agli Stati Membri di indebitarsi e di investire, andando oltre i limiti dei parametri del deficit e del debito.

Ma la sospensione ha durata fino al 2024, poi se non sarà stato modificato, rientrerà in vigore il vecchio Patto.

Tutti conosciamo le critiche al Patto stesso come quadro regolatorio troppo rigido, troppo poco flessibile e adattabile e soprattutto troppo attento all'austerità invece che allo sviluppo e agli investimenti.

Infatti in passato alcuni studiosi e alcuni politici hanno definito “stupidi” cioè privi di strategia e visione i parametri fondamentali stessi, che sono come i pilastri di tutta la costruzione o, come detto da alcuni, la architettura della struttura economico-finanziaria del Patto stesso.

Elementi essenziali del Patto

La costruzione dell'Unione economica monetaria si basa, o meglio, si fonda su pilastri regolatori essenziali e su atti e norme che regolano la disciplina di Bilancio degli Stati membri per garantire che si rispettino i limiti e che il rigore della finanza pubblica sia garantito.

In particolare il Patto di Stabilità e Crescita (Stability and Growth Pact) è un Accordo sottoscritto da tutti i Paesi Membri e questo Accordo li vincola a rispettare una disciplina di Bilancio rigorosa.

Lo scopo del Patto e la sua finalità sono chiari.

In una Europa unita dalla moneta e da un Bilancio comune è importante che le economie dei Paesi non siano troppo divaricanti e troppo asimmetriche perché questo indebolisce tutte le economie anche quelle più stabili per le forti interconnessioni che ci sono tra i Paesi, le loro economie, i loro quadri finanziari.

Allo stesso modo bilanci nazionali troppo in deficit o con disavanzi e debiti alti rappresentano rischi di squilibri non solo interni ad uno Stato ma con effetti destabilizzanti per tutta l'economia UE.

L'ispirazione del Patto quindi è orientata al rigore e al controllo dei bilanci.

Il Patto è basato essenzialmente su due parametri (i principali):

l’osservanza riguarda

  • Il limite del 3% del deficit rispetto al PIL
  • Il limite del 60% come debito pubblico rispetto al PIL

Ciò significa che in un Paese la differenza tra entrate e uscite, cioè il deficit, non può andare oltre il 3% del Prodotto interno lordo, e allo stesso modo il debito pubblico non può andare oltre il 60% del Prodotto interno lordo.

Nel caso di Paesi che superano il 60% del debito rispetto al PIL come l'Italia e la Francia e altri, è previsto che i Paesi che non possono, di colpo, rientrare in questo parametro devono però attuare “un calo annuale ad un ritmo significativo” in genere calcolato in un ventesimo all'anno.

La nascita del Patto è del 1997 con l'Accordo tra gli Stati Membri che traccia i confini tecnici e le regole e si compone di una Risoluzione e due Regolamenti chiamati “Six Pack” e “Two Pack” contenenti una miriade di prescrizioni, norme e dettagli tecnici da osservare.

Sebbene il Patto, come detto, prevede la possibilità per gli Stati che sono oltre i limiti dei parametri, di una riduzione annuale del 20% del debito, tuttavia, nei casi di forte inadempienza o di sforamento dei limiti, parte una PROCEDURA di INFRAZIONE da parte della Commissione verso gli Stati Membri, attraverso dapprima un AVVERTIMENTO preventivo, e poi con RACCOMANDAZIONE che, se rispettate, portano alla chiusura delle procedure di infrazione oppure a delle sanzioni.

Tale quadro così vincolante durante il periodo della crisi pandemica si è rivelato una “gabbia” insopportabile perché non permetteva agli Stati di spendere per ristorare tutte le categorie economiche colpite dal virus, le aziende e servizi che si erano bloccati, etc.

Per questo la Commissione europea ha attivato una “clausola di Salvaguardia” già prevista dal Patto stesso “sospendendo” fino alla fine del 2023 le regole del Patto e autorizzando dunque gli Stati a spendere per la parte corrente e per gli investimenti quanto necessario, indebitandosi per tutto ciò che era necessario al fine di salvare l'economia, i lavoratori e la vita delle famiglie.

Va detto che questa “clausola di salvaguardia” generale, cioè alla possibilità di affrontare shock nell'area dell'euro, con possibilità di flessibilità e intervento, andrà inserita anche nel nuovo Patto perché consente nell'emergenza di agire con regole di emergenza e straordinarie.

La PROPOSTA di Revisione del Patto proposta dalla COMMISSIONE EUROPEA

La proposta di revisione è stata presentata come un “Pacchetto di proposte” articolato.

Innanzitutto, va detto che il pacchetto complessivamente rappresenta un cambiamento di approccio e di impostazione rispetto al precedente sistema di governance economica.

Le principali novità della proposta elaborata e presentata dal Commissario italiano, Paolo Gentiloni riguardano questi aspetti:

  • lo sforzo di creare una governance economica non più uguale (o simile) per ogni Paese attraverso una applicazione più riferita alla realtà, cioè più adattabile alla situazione specifica dei diversi Stati;
  • la visione temporale diventa pluriennale e i piani possono essere quadriennali o anche settennali. Questo significa che i Paesi hanno un tempo più prolungato per gestire i cicli economici;
  • la sostenibilità del debito viene riferita ad un periodo medio lungo, per consentire processi di convergenza (perché non sarebbe possibile “rientrare” con scostamenti immediati e annuali);
  • l'andamento della spesa pubblica è la chiave per il controllo e anche per il sistema sanzionatorio.

Le procedure attraverso cui si esplica la governance passano da:

  • previsioni economiche
  • definizione ed esplicitazione di una traiettoria tecnica da parte della Commissione per ogni Paese;
  • presentazione di piani pluriennali da parte degli Stati e approvazione dei piani stessi da parte del Consiglio.

A proposito della TRAIETTORIA va segnalato che la proposta della Commissione (avvenuta, prima, con una Comunicazione del 2022 e poi con il vero e proprio PACCHETTO) contiene alcuni elementi molto “pericolosi” e, a giudizio del gruppo SD, negativi.

Si tratta di questi due elementi:

  • il debito di uno Stato, alla fine del periodo di aggiustamento (4 o 7 anni) deve essere assolutamente INFERIORE dell’inizio del periodo;
  • vi è un obbligo per la Commissione di fissare un “cammino” di rientro sul deficit dello 0,5% all'anno (se si è oltre il 3%).

È chiaro che soprattutto il secondo elemento è fortemente “in positivo” e impone un percorso di rientro non solo in termini totali ma con target annuali difficilmente rispettabili dai Paesi più esposti (come l'Italia, che, infatti, su questo punto cerca di ottenere cambiamenti ed ha espresso, in tanti modi, il suo dissenso).

Il percorso parlamentare e il percorso intergovernativo

Il pacco, come è noto, è oggetto di una trattativa fra tutti i Paesi e il negoziato è molto acceso.

Sul piano del governo, si è espressa una forte critica e si sono avanzate osservazioni e controproposte.

Il lavoro a livello di governo deve svolgersi attraverso alleanze e creando consenso tra i Paesi.

L’Italia dapprima ha cercato un'alleanza con la Francia, che pure ha un alto debito pubblico, ha cercato intese con la Germania, ma ora alla vigilia della fine del periodo di discussione, sembra in una posizione isolata.

Questo isolamento del governo italiano è tanto più negativo se appunto si considera che, proprio nei mesi di discussione e mediazione nel negoziato tra i governi sono venute ad emergere, con una certa forza e conquistando i consensi di vari paesi, alcune nuove proposte con altre clausole di salvaguardia.

Queste nuove clausole, per assicurare il rientro del debito nei paesi più esposti, puntano ad UNA RIDUZIONE MINIMA DEL DEBITO UGUALE per tutti i Paesi.

Questa proposta è proprio il contrario della impostazione della proposta di Gentiloni che prevedeva una linea più adatta e specifica per ogni paese.

Una quota minima per tutti i paesi toglie flessibilità alle soluzioni, una flessibilità che invece sarebbe molto utile all'Italia.

 

In Parlamento

Nel Parlamento la discussione avviene nella Commissione Economica dove molte proposte emendative sono state avanzate.

Gli elementi più interessanti e condivisibili di modifica riguardano:

  • La possibilità di avere piani di rientro del debito in una ottica di elasticità virgola di flessibilità e di adattamento alla realtà di ogni paese, pur nel riconoscimento della necessità di prevedere piani rigorosi di rientro.
  • La possibilità di rientri programmati in un arco temporale più lungo che permetta anche maggiore o minore riduzione in un anno a fronte di difficoltà economiche, perché il trend porti nell'arco di x anni all'obiettivo stabilito.
  • La possibilità di scorporare, secondo la cosiddetta “golden rule”, gli investimenti dal calcolo della spesa e dunque dal debito soprattutto gli investimenti legati ai piani dei fondi di coesione (e all'esigenza di cofinanziamento nazionale).

È misura necessaria uscire dalla logica del “puro vincolo fiscale” e del “controllo fiscale” per assumere una logica più positiva e produttiva, di usare anche questa regolazione fiscale come strumento di coordinamento anche tra l'Europa e gli Stati Membri delle politiche economiche, sociali e ambientali.

Solo con un approccio di coordinamento le politiche di bilancio diventano politiche di sviluppo economico oltre che di governance economica e di disciplina dei bilanci.

Nessuno infatti nega la necessità di vigilare sui bilanci degli Stati membri e sulla loro politica di spesa ma il rigore da solo ha già dimostrato negli anni “delle politiche di austerità” che blocca la crescita, riduce gli investimenti e non sostiene la domanda.

Conclusioni: a che punto siamo e quale è la finalità da salvaguardare

Il negoziato tra i governi e poi quello col Parlamento devono terminare in tempo utile (fine anno 2023) perché la sospensione termina e in tal caso tornerà in vigore il vecchio piano.

Gentiloni ha già ventilato, in qualche occasione informale, che pur senza adempimenti formali, si può pensare a una breve proroga, quasi una fase transitoria, ma il tempo sta scadendo.

Occorrerà perciò uno sforzo aggiuntivo e una grande capacità negoziale per ottenere i punti positivi enunciati e altri, in modo da salvare il salto di qualità che questo Patto deve garantire.

In sostanza l'obiettivo è che, accanto al controllo dei Bilanci e della politica di spesa dei Paesi e l'obbligo di una riduzione del debito, per evitare che l'esposizione del bilancio di un paese possa creare difficoltà all'intera economia dell'Europa, accanto a ciò ci sia una impostazione del Patto di Stabilità e Crescita che non “imbrigli” troppo e consenta investimenti, crescita e sviluppo!

Dobbiamo insistere sul fatto che il vecchio Patto improntato al rigorismo e alla uniformità totale è completamente superato e “inadatto” a questa nuova fase della vita europea (e forse era già “inadatto” anche nella passata stagione).

Dobbiamo pretendere (e lavorare per) cambiare molto e non possiamo accettare che si snaturi la proposta della Commissione europea e si ripresenti, con qualche verniciatura, una vecchia impostazione.

Insomma c'è il rischio che sotto il nuovo Patto ci sia “troppo” del vecchio.

Va dunque mantenuta e valorizzata la flessibilità introdotta, puntando a che i paesi in 4 o 7 anni raggiungano i parametri, anche “negoziando” direttamente Paese per Paese con la Commissione.

Una postilla finale

Di fronte alla difficoltà di ottenere una apertura maggiore della impostazione del Patto, si diffonde qua e là la posizione di chi sostiene “meglio allora tornare al vecchio Patto”!

Riteniamo sbagliata per l’oggi e per il futuro questa visione.

Il vecchio patto si concentrava su numeri rigidi, parametri senza una fondata misurazione e aveva una ottica troppo “rigorista” e poco “sviluppista”.

Bisogna invece fare ogni sforzo per migliorare la proposta e attuare delle altre misure di politica economica industriale e finanziaria per rilanciare la nostra Europa.

Come sostiene Draghi nelle ultime uscite, anche il Patto migliore da solo non serve per quel rilancio dell'Europa che ha bisogno di politiche fiscali comuni e di sviluppo e crescita comuni.

  • Creato il .