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Schede informative

Riprendiamo la rubrica di schede informative sulle attività dell'Unione europea, che sono state molto apprezzate, con riferimenti giuridici ma anche con riferimenti legati al dibattito politico e culturale, relative a temi di grande rilevanza sociale su cui l’Europa sta adottando scelte e scrivendo norme che delineeranno un orizzonte di scelte di standard che l‘ Europa auspica possano diventare di riferimento globale. Se volete ulteriori approfondimenti scrivetemi a: 

Direttiva relativa ai salari minimi adeguati nell’Unione europea

Dopo anni e anni di dibatti, contrasti, divergenze e convergenze, dopo tante proposte avanzate e poi bocciate, finalmente arriva in porto la Direttiva europea sui salari minimi adeguati nell’UE.
Ne presentiamo qui i contenuti principali e le osservazioni sul dibattito, anche molto acceso, che ne ha accompagnato l’ultima fase di discussione e di negoziati in Parlamento Europeo e nel Consiglio, col rischio di un ulteriore, e forse definitivo, blocco.
Queste considerazioni generali, che accompagnano la scheda coi punti critici, serviranno a far comprendere le principali opportunità che il provvedimento apre, ma anche alcuni limiti dello stesso.

SCOPO DEL PROVVEDIMENTO

La direttiva vuole definire norme, o, piuttosto un quadro generale normativo, per affermare, salvaguardare la dignità sul lavoro, stabilendo il principio dei salari minimi nei vari Stati Membri.

Il tema dei salari e della loro adeguatezza a consentire una vita dignitosa è divenuto negli anni sempre più importante soprattutto in molti paesi europei.

In alcuni, infatti, il livello dei salari è cresciuto negli anni, in altri, invece, e tra questi l’Italia, i salari sono bloccati e, dunque, di fatto si sono abbassati e si è ridotto il loro valore d’acquisto.Addirittura In molti paesi dell’UE sta crescendo il fenomeno, di grande impatto sociale, dei “lavoratori poveri” (poor workers) cioè di persone che pur avendo un lavoro stabile non hanno un reddito tale da permettere loro e alle loro famiglie una vita dignitosa.  Il principio del salario minimo vuole risolvere questa piaga sociale stabilendo che il valore minimo legale dei salari deve garantire una vita decente.

Naturalmente, in termini economici e monetari, il livello di dignità è correlato al potere d’acquisto e al valore del costo della vita.
Altri elementi, ovviamente, entrano in gioco per definire i livelli di dignità e riguardano il grado di sviluppo di un paese, il suo tasso di crescita e altre variabili socioeconomiche.

Altro scopo fondamentale della direttiva (e poi analizzeremo come si è tradotto in termini normativi) è il coinvolgimento dei Sindacati e delle rappresentanze dei lavoratori, promuovendo la contrattazione dei salari.

Oggi, infatti, non tutti i lavoratori sono coperti da contratti nazionali, anzi si estende la fascia di lavoratori al di fuori della contrattazione.

Occorre dunque promuovere la contrattazione collettiva e rafforzare il ruolo delle rappresentanze dei lavoratori.
Per questo si apre anche la strada alla tutela dei lavoratori delle piattaforme, cui vanno garantiti diritti oggi assenti o troppo deboli.

Va chiarito il loro status professionale eliminando o rendendo trasparente il processo di controllo della gestione algoritmica della piattaforma, che non dà alcuna garanzia di imparzialità e di rispetto di diritti fondamentali sulle persone e, dunque, dei lavoratori.Lo scopo preciso è di garantire equità verso i lavoratori, pretendendo trasparenza e responsabilità dei sistemi di algoritmi che gestiscono e controllano l’attività di questi “nuovi” profili di gruppi di lavoratori.

Un’ulteriore finalità della direttiva è di contribuire, con questa normativa sul salario minimo, a ridurre le disuguaglianze che si sono allargate e che, partendo da disuguaglianze salariali, creano a macchia d’olio molte altre disuguaglianze in termini di formazione, di socialità e di inclusione e progressione sociale.Quindi la lotta al calo dei salari si collega strettamente alla lotta alle diseguaglianze salariali e tendenziali.Infine lo scopo più  generale e l’obiettivo più grande sono quelli di aprire la strada, finalmente, all’Europa sociale.

Il lavoro non è merce, i lavoratori sono persone con diritti e responsabilità.

Questa è stata una battaglia distintiva e caratterizzante del gruppo S&D, che lavora attivamente anche per l’implementazione del PILASTRO SOCIALE.

CONSIDERAZIONI GENERALI

Nel negoziato col Consiglio, il Parlamento si è trovato a dover superare con durezza alcuni scogli, perché il mandato negoziale del Consiglio era di ridurre al minimo i nuovi obblighi per gli Stati membri e, anzi, alleggerire il peso del provvedimento, riducendolo ad una Raccomandazione  non vincolante per gli Stati membri.

Il Parlamento si è battuto e ha impedito questa soluzione minimalista, anche dal punto di vista normativo.

Va ascritto, a merito del Parlamento e della squadra negoziale, se, alla fine, il valore dell’atto come Direttiva è stato preservato.

Per raggiungere i principali obiettivi:

  • Salari dignitosi
  • Rafforzamento contrattuale collettivo
  • Riduzione delle disuguaglianze salariali
  • Convergenza sociale verso l’alto

gli stati membri agiranno attraverso leggi e contratti collettivi a seconda delle prassi nazionali.

UN IMPORTANTE CHIARIMENTO

Nel timore di avere una Direttiva che stabilisse un salario minimo europeo obbligatorio e che non rispettasse la libertà degli Stati membri di scegliere la strada più appropriata per arrivare a questo risultato, nello scenario europeo si era creato uno schieramento ostile, o quantomeno scettico verso questo provvedimento.

Questo schieramento ostile o scettico metteva insieme paesi che avevano ragioni e motivazioni opposte: alcuni non volevano per niente una normativa in materia, altri non volevano interventi europei perché avevano già introdotto il salario minimo a livello nazionale.

Da un lato, infatti, erano contrari i paesi che volevano e vogliono smantellare la contrattazione collettiva, in nome della concorrenza sui salari, dall’altro i paesi nordici, che già rispettano e tutelano un salario minimo, ma rivendicano l’efficacia e la bontà delle loro procedure nazionali.
Queste contrapposte posizioni ostili sono state superate, da un lato riducendo a posizioni minoritarie le tesi dei paesi ostili, perché non rispettosi del principio che “il lavoro non è merce”, dall’altro garantendo libertà di scelta e di operatività circa le soluzioni da adottare, ai paesi che già hanno un salario minimo,  perché appunto rientrano nelle finalità e in quanto definito dalla Direttiva.

CONTENUTI

  • Per gli stati membri è obbligatorio disporre di procedure che fissino salari minimi legati a livelli adeguati. L’Ue non detta un salario minimo comune né fissa il livello dei salari minimi nazionali, ma include nel testo i valori di riferimento indicativi relativi al 60% del salario lordo mediano e al 50% del salario lordo medio, e ciò al fine di far aumentare i salari minimi legali.

Non vi è dunque un obbligo per i paesi che non hanno il salario minimo di introdurlo, ma vi è l’obbligo di avere procedure per fissare livelli di salari minimi.

  • Gli Stati membri devono tutelare il diritto alla contrattazione collettiva e devono tutelare quei lavoratori che vogliono partecipare a tale contrattazione per respingere o evitare forme di discriminazione.
  • Gli stati membri devono altresì assumere misure contro l’indebolimento dei sindacati. A loro volta i sindacati hanno il diritto di ricevere le informazioni necessarie per il loro compito di tutela dei lavoratori.
  • Per rafforzare il ruolo della contrattazione collettiva viene stabilito che, se in uno Stato membro la copertura della contrattazione collettiva è inferiore al 80% dei lavoratori, allora occorrono misure ad hoc e si prevede perciò che quel paese promuova e attui un Piano di Azione Nazionale Obbligatorio per estendere il numero di lavoratori tutelati da tale contrattazione.
  • Un’attenzione particolare va rivolta a quelle fasce di lavoratori fragili, poiché poco tutelati, come i lavoratori a basso reddito, le donne e i lavoratori dei servizi alla persona. Si tratta di lavoratori sottopagati, ma essenziali per le funzioni che svolgono.
  • La contrattazione collettiva è una prerogativa dei sindacati (e non di ogni generica associazione).
  • E’ essenziale la protezione dei lavoratori e dei loro rappresentanti che partecipano alla contrattazione
  • Sono necessari interventi specifici per ridurre la povertà lavorativa e il divario di genere
  • Vengono definiti criteri su cui basare l’adeguatezza dei salari minimi:
    • Il potere d’acquisto (tenuto conto del costo della vita)
    • Il livello generale dei salari e la loro distribuzione
    • Il tasso di crescita dei salari
    • I livelli di sviluppo della produttività nazionale a lungo termine.
  • Gli stati membri ogni due anni verificano l’adeguatezza dei loro salari minimi anche in riferimento ad un paniere nazionale di beni e servizi. Gli stati membri possono aòtresì utilizzare delle indicizzazioni automatiche
  • Le parti sociali devono essere coinvolte nella fissazione e nell’aggiornamento dei salari minimi legali
  • Gli operatori economici, gli appaltatori e i loro subappaltatori devono rispettare gli obblighi applicabili in materia di salari.

LA SITUAZIONE EUROPEA E GLI EFFETTI IN ITALIA

Il risultato del complesso negoziato può considerarsi positivo, ma dobbiamo essere consapevoli che l’applicazione varierà da paese a paese, anche significativamente.Oggi in Europa 21 paesi (su 27) hanno già una legge sul salario minimo.

Dovranno alzarlo, secondo quanto propone la direttiva al 60% del valore economico mediano e al 50% del valore medio, quindi dovranno adeguare la situazione in senso migliorativo.
E inoltre dovranno eliminare deroghe (che qualche paese oggi ha) all’attivazione del salario minimo per disoccupati di lungo periodo o altre realtà occupazionali.
Tuttavia, nonostante la Direttiva cerchi di perseguire un quadro di armonizzazione, almeno nella fase applicativa iniziale, “peserà” una specie di “doppio binario”, cioè una norma per i paesi già dotati di una legge specifica e una norma per i paesi senza legge nazionale.

Questo è forse il limite maggiore della Direttiva, ma il “compromesso finale” è stata l’unica strada possibile per avere una Direttiva europea.

Per i 6 paesi (su 27) senza una legge ad hoc si fa molta pressione, richiedendo una procedura per definire salari minimi legali e per rafforzare la contrattazione collettiva.

Infatti questi stati membri, entro due anni, devono predisporre Piani di Azione per estendere almeno al 70% la copertura di lavoratori sotto l’egida di una contrattazione.
È, questo, un forte impulso, soprattutto e abbinato alle norme che vogliono superare ostacoli discriminatori e comportamenti antisindacali (soprattutto nelle aziende multinazionali).
Importante inoltre, anche per l’Italia, è l’obbligo di rispettare la Direttiva negli appalti pubblici.
Sempre per l’Italia ci sarà. Come primo passo, l’applicazione dei minimi contrattuali nazionali a tutti i lavoratori.
Ci sarà senz’altro anche un effetto positivo di sblocco dei rinnovi dei contratti e di aumento dei salari.
Ciò che è chiaro, anche in base ai Trattati, è che la Direttiva non obbliga gli stati ad una legge standard e non fissa un salario minimo orario per legge.
Dal punto di vista delle possibilità applicative in Italia è aperto un dibattito politico, oltre che sociale, tra due possibili sbocchi, anche rappresentati da due personalità politiche diverse.

  • Ecco i due possibili sbocchi:
  • Sbocco uno: portare a termine la proposta legislativa della ex Ministra Catalfo, che prevede 9 euro all’ora per il salario minimo legale, ma che ha il limite, secondo alcune forze sindacali, di rischiare di indebolire la contrattazione collettiva e la sua funzione.
    - Sbocco due: lavorare sulla proposta dell’attuale Ministro Orlando, che prevede di applicare come salario minimo, settore per settore, il trattamento economico complessivo come risulta dai minimi del contratto nazionale.
Solo il dibattito politico e le scelte dei prossimi mesi in Italia ci diranno quale sarà stata ritenuta la via più efficace da perseguire.
Ciò che resta da sottolineare è che loa strada proposta dall’attuale Governo è già stata percorsa in molti paesi europei (ultimamente anche in Finlandia).

Questa strada porta i lavoratori a sindacalizzarsi e a cercare forme e soggetti di rappresentanza generale.  

ALCUNE TABELLE PER ILLUSTRARE LA SITUAZIONE NEI PAESI EUROPEI

Ecco alcune schede e grafici sulla situazione in Europa.

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