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UE-CINA: "RISCHIO COLONIZZAZIONE, REGOLE SU INVESTIMENTI ESTERI"

COMUNICATO STAMPA - BRUXELLES, 23 AGOSTO 2017 (AdnKronos)-  In Europa "servono regole" per gli investimenti di Paesi terzi. La richiesta di Italia, Francia e Germania alla Commissione Europea è "una mossa molto giusta", che dimostra, anche per il peso specifico degli Stati che l'hanno avanzata, che l'Europa inizia ad avere la "consapevolezza" che, per competere ad armi pari con altri Paesi come la Cina che hanno strategie molto chiare, supportate da capitali pubblici, occorre avere un "quadro legislativo" di norme che evitino il rischio che l'economia europea venga "colonizzata" in settori strategici. Altrimenti, l'Ue potrebbe ritrovarsi a dover "chiudere la stalla quando i buoi sono scappati". La lettera inviata alla Commissione, di cui ha parlato ieri anche il ministro Carlo Calenda, "solleva un problema vero - spiega all'Adnkronos - da un lato abbiamo sempre esaltato, e continueremo a farlo, perché è segno di apprezzamento e di crescita delle industrie, la possibilità di attrarre investimenti esteri". La crescita economica e l'appetibilità di un Paese, prosegue, si misura anche "con la capacità di attrarre investimenti esteri" e, ricorda, "siamo anche andati alla ricerca di questi investimenti, con missioni economiche nei vari Paesi, illustrando le potenzialità dell'Italia, proprio per attrarre capitali. L'attrazione degli investimenti esteri è senz'altro benzina per l'economia e la crescita, ma servono dei punti di riferimento precisi. E finalmente lo si capisce".Solo "i teorici della liberalizzazione a tutti i costi", continua la capodelegazione del Partito Democratico a Bruxelles, "sono contrari: io sono perché ci sia apertura a mercati ed investimenti, ma con delle regole. Non tante, ma quelle che servono. Oggi si capisce che, accanto alla positività della circolazione di investimenti esteri, che aiutano l'economia perché apportano capitali, bisogna essere capaci di difendersi rispetto a strategie di Paesi extra Ue che hanno ben chiaro cosa vogliono fare e giocano il loro gioco". Non possiamo, aggiunge Patrizia Toia, essere "così sprovveduti" da lasciare che "acquisiscano tutto quello che vogliono e nella misura che desiderano", solo perché "gli investimenti esteri sono importanti". Senza negare il valore dell'apporto di capitali esteri, "l'Europa, se vuole essere un continente con una sua strategia, deve anche avere regole difensive rispetto ad attacchi che strategicamente possono essere dannosi per la nostra economia continentale". Certo, si tratta poi di definire i dettagli, dove si annida il diavolo: "In quali settori e in che misura si fa questo? E con quale reciprocità? Sono questi i punti più importanti - spiega la Toia - poi, devono essere regole dei singoli Stati o regole dell'Ue? Come sempre, le cose devono andare crescendo nel tempo. Attualmente, tutto questo attiene alle legislazioni nazionali, ma che grandi Paesi invochino un ruolo della Commissione vuol dire che l'Europa è un continente, che deve fare una politica industriale, di crescita comune, senza lasciarla ai singoli Stati". Pertanto, continua l'europarlamentare, la mossa di Parigi, Berlino e Roma costituisce "un passo avanti, sia per il tema serio che viene posto, sia perché il passo viene fatto da Paesi abbastanza forti, che parlano insieme e insieme chiedono questa azione della Commissione". Azione che "è tutta da definire nei contenuti, anche se la lettera pone già dei punti abbastanza chiari. E' un segno di consapevolezza dell'Europa. La Cina, anche se non si tratta solo della Cina, è un grande partner, ma non dobbiamo diventare dipendenti dalle loro scelte o far svuotare settori strategici europei di know-how: se poi decidessero di chiudere, che cosa succede?". Non possiamo - prosegue Patrizia Toia - trovarci senza regole, chiudendo la stalla quando i buoi sono scappati. E' vero - spiega - che c'è il rischio di cadere in logiche protezionistiche, ma se non agiamo rischiamo di essere colonizzati economicamente. Se comprassero, poniamo, aziende con brevetti avanzati in settori come le tecnologie sanitarie, poi dovremmo acquistare questi prodotti, magari utili per la cura delle persone, alle condizioni poste da Paesi terzi? Non si tratta di dire no, ma di avere un framework legislativo di criteri, che, se viene oltrepassato, si dice no". "Non sono certo una leghista - continua - ma bisogna avere gli occhi avanti e pensare alle implicazioni, prevenendo distorsioni future. Senza diventare protezionisti, dobbiamo giocare le nostre carte in un quadro economico e finanziario che si è fatto molto complesso, che vede giocatori molto forti e che spesso giocano con carte truccate, perché tra Stato ed economia ci sono delle grandi sovrapposizioni. Siamo tutti reduci - ricorda infine - dalla vicenda Mes Cina (il riconoscimento a Pechino dello status di economia di mercato, ndr) in cui ci siamo trovati in una situazione in cui rischiamo in alcunisettori, come l'acciaio, di giocare la partita in una situazione impari".
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